VIVA LA RADIO ! NETWORK – LA FINE DELLA FIERA
Autore: Giulia Greco
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FRANCESCO VENDITTI E AZTECA PRODUZIONI CINEMATOGRAFICHE PRESENTANO “LA FINE DELLA FIERA”
DI DANIELE PRATO E FRANCESCA STAASCH
DALL’8 AL 27 MARZO 2011 AL TEATRO COMETA OFF, ROMA
Veruska Rossi, Fabrizio Sabatucci, Riccardo Scarafoni e Francesco Venditti sono i quattro “personaggi senza nome” che, in un preciso e scandito disegno teatrale, raccontano le loro vite e si raccontano senza remore o filtri, con semplicità e disincanto. Sussurrano esperienze, rimpianti, dolori, violenze e paure.
Uno scrittore giura a se stesso di non scrivere mai più perché “non ha più niente da scrivere” e sperimenta mille lavori diversi reinventandosi mille volte ed inaugura un’esistenza fatta di scelte sbagliate, porte in faccia, compromessi; c’è una donna, dalle diverse personalità, che tra una pasticca e l’altra, si trasforma in un’archivista tutta casa e computer, in un sedicenne “intrappolato” nelle sembianze di una mela, in una famosa pornostar; c’è un uomo innamorato, che, da un momento all’altro scopre di aver consegnato la sua totale capacità decisionale alla compagna e quando lo realizza, succede qualcosa di inaspettato che lo porrà di fronte ad una sconvolgente verità. Ed infine, c’è un personaggio cinico e senza scrupoli, la cui professione è quella di minacciare e seminare terrore tra i “clienti” di un’azienda, in cambio di ricchi bonus e validi riconoscimenti.Tutto procede nel migliore dei modi finchè lusso, soldi e potere sembrano non essere sufficienti a fargli dimenticare una vecchia conoscenza del passato.
In un contatto così intimo tra palcoscenico e platea, dove solo una luce ambrata illumina i volti degli attori, nasce una sorda complicità con il pubblico, che sembra quasi spiare da uno spioncino le confessioni più intime e mai svelate di identità tormentate che viaggiano sole tra tragedia e ironia.
Le loro apparenti diversità celano, senza dubbio, comuni denominatori. Anche da un punto di vista coreografico di movimenti scenici, richiami da un personaggio all’altro, che sembrano lanciarsi la palla per appropriarsi del proprio turno e per poter gridare, finalmente, il flusso incessante delle loro coscienze e molto altro.
Un aspetto che ritengo vada sottolineato è come il regista Riccardo Scarafoni abbia dichiaratamente voluto mantenere una certa sobrietà di fondo; non c’è spazio per sentimentalismi o psicologie spicciole da rivista. È la verità, o meglio, la ricerca della verità, nella sua essenziale e fragile fisionomia a fare da padrona.
Si tratta di gente direttamente o indirettamente a contatto con la malattia, la cui diagnosi coincide con la “fine” di un percorso compiuto a braccetto con se stessi. È proprio questo il gioco, la “fiera”, con cui si trovano a vivere e convivere in ogni momento: come un tarlo che picchia nell’inconscio di anime disperate, perché non si può nascondere, appare continuamente e come in uno stillicidio, si manifesta prepotente in ogni singolo attimo, finchè non si ha la forza per dichiaragli guerra, anche a costo di perderla.
Improvvisamente, ho avuto come la percezione di essere lo specchio attraverso il quale ognuno dei protagonisti riflettesse, per la prima volta, il proprio reale e autentico essere e, soprattutto, sentisse l’urgente necessità di esplorarlo, in profondità, per la prima e, forse, ultima volta.